martedì 30 novembre 2010

L'altro libraio - Draco Malfoy parte seconda

“Non ti credo.” Draco si appoggiò al bancone, avvicinandosi al mago che si ritraeva. “Tu sei lui. Sei v-Voldemort.”
“Ti sbagli. È impossibile.” Alzò una mano in segno di diniego. “Voldemort è morto.” Cercò di sorridere, ma ne uscì una strana smorfia.
“No, non mi posso sbagliare. Sei tu.” Draco era atterrito, guardava l'altro con occhi spalancati, pallido in volto, ormai aggrappato al bancone come se dovesse svenirvi sopra. Ne era certo, non poteva sbagliarsi. Lo sguardo, le espressioni, non poteva dimenticarsele. Quel volto mostruoso che lo aveva terrorizzato per anni, nei suoi sogni, lo aveva inciso nella memoria, e malgrado la deformità con cui lo aveva conosciuto, certi tratti erano rimasti identici. E quella voce... era lui, non aveva dubbi. “Com'è possibile.. come hai fatto?”
“No, ti sbagli, Draco...” gli si mozzò il fiato in gola, mentre si rendeva conto di aver pronunciato un nome che non avrebbe dovuto conoscere. Restò immobile, guardando il giovane Malfoy alzarsi di scatto, portarsi le mani alla bocca e fissarlo sbalordito. Arretrò dietro il bancone, fino a toccare lo scaffale alle sue spalle, e rimase inchiodato a fissarlo. Tom reagì d'istinto, estrasse velocemente la bacchetta dalla manica e con un solo rapido gesto sigillò tutte le entrate della libreria. Non era entrato nessuno dopo di lui, nel lato magico, ed erano soli. Non sapeva cosa voleva fare, ma non poteva permettersi di avere altri testimoni di questo riconoscimento.
“Draco, ascolta, io...” cominciò, senza sapere bene cosa avrebbe detto.
“Bastardo...” Mormorò l'altro. “Maledetto fottuto bastardo, assassino!” Terminò quasi in un grido, lasciando cadere le braccia. “Che vuoi fare, ora, uccidermi?”
“No Draco.. non voglio ucciderti, io non sono la stessa persona, devi credermi.” disse alzando una mano aperta verso di lui. Nell'altra stringeva ancora la bacchetta, e con lentezza la abbassò, a dimostrare di non aver cattive intenzioni.
“Come no? Pensi che potrei sbagliarmi? Lo sai da quanto tempo sogno la tua voce, maledetto?” lo aggredì. “Sono quindici anni che hai devastato la mia esistenza, TU! Non mi posso sbagliare. Non so che hai fatto alla faccia, ma la tua voce non la dimenticherò finché campo!”
“Lo so, ma non sono più la stessa persona di una volta, Draco...” Cercò di spiegargli.
“NO! Tu non sai nulla, maledetto! Non sai niente! Non me ne frega un cazzo di chi sei, tanto non ha nessuna importanza! Tu hai rovinato la mia vita! La vita dei miei genitori! La vita di chiunque!” gli urlò in faccia, estraendo la bacchetta dalla tasca della giacca. “AVADA K...” cominciò a gridare, ma Tom velocissimo alzò nuovamente la bacchetta e lo bloccò con un incantesimo immobilizzante.
Si ritrovò a fissare il ragazzo, che malgrado la paralisi lo guardava accecato di odio, consapevole che se avesse terminato l'incantesimo lo avrebbe sicuramente ucciso. Sapeva riconoscere la volontà omicida negli occhi di un avversario, e quel ragazzo che non era riuscito ad uccidere Silente per difendere la sua famiglia, era ora diventato un adulto in grado di ucciderlo senza esitare. Tom ansimò, il fiato corto, cercando di riprendere il respiro, guardando il ragazzo. Alzò la bacchetta verso il soffitto, sbalordito da tanto odio. Mai prima di allora aveva incontrato una propria vittima, e Draco poteva ben dirsi una sua vittima, anche se era sopravvissuto. Era vero, gli aveva devastato l'esistenza, come a tutti quelli che avevano osato incrociare la sua strada. Aveva ripensato alle proprie azioni, mille volte, pensando a quanto male era andata la sua vita, ma non si era mai pienamente reso conto dell'effetto che aveva avuto sulla vita degli altri. Allungò una mano a togliere la bacchetta dalle mani del ragazzo, la posò sul bancone di fronte a sé e modificò l'incantesimo per lasciargli la possibilità di parlare. Il ragazzo riprese il controllo del proprio viso e chiuse la bocca, guardandolo con odio.
“Che aspetti ad uccidermi? O vuoi torturarmi, prima? Non ti temo, bastardo... è passato il tempo in cui mi facevi paura sai?” disse, e poi gli sputò in faccia.
Tom non fece in tempo a ritrarsi, e prese il getto di saliva in viso. Fu come se fosse velenoso. La rabbia lo aggredì feroce e con un gesto della bacchetta mandò l'altro a sbattere violentemente contro la parete, dove rimase appoggiato, il viso deformato dal dolore.
“Tutto qua quello che sai fare?” Ringhiò.
“Io non voglio farti nulla, cazzo! Non ho intenzione di ucciderti, Draco! Come devo dirtelo? Lo avrei già fatto, se avessi voluto! Non sono più il Signore Oscuro!” gridò, pulendosi il volto con una manica.
“Ah, no? E cosa saresti, sentiamo, un libraio?” il ragazzo rise, incredulo.
“Si, sono un banale libraio. Uno stupido, anonimo libraio! Non mi passa più nemmeno per l'anticamera del cervello di conquistare il mondo magico, sto solo cercando di rifarmi una vita!”
“Ah, ma davvero? E con che diritto? E tutti quelli a cui l'hai devastata cosa dovrebbero fare, applaudirti ora, perché sei diventato buono? Ma chi vuoi che ti creda?” il giovane rise, incontrollabilmente. “Lo sai che quasi nessuno tra noi è riuscito a rifarsi una vita serenamente? Lo sai che sei rimasto negli incubi di tutti? Hermione, mia moglie, si sogna la battaglia tutte le volte che è sotto stress, mi sveglia urlando, ed io sveglio lei, quando mi risogno la notte in cui mi mandasti a cercare di uccidere Silente... uno dei miei migliori amici è morto, la notte della battaglia ad Hogwarts, e l'altro è diventato quasi pazzo, è finito al San Mungo per depressione, grazie a te. I miei...” il ragazzo strinse gli occhi che si andavano riempiendo di lacrime. Suo padre era morto ad Azkaban, e sua madre era morta di dolore pochi anni dopo. Aveva dovuto tirarsi su le maniche dal nulla, visto che tutti i loro beni erano stati confiscati, e solo di recente aveva ritrovato la tranquillità, quando si era ritrovato davanti Hermione Granger e si erano innamorati e sposati, con reciproca sorpresa. Credeva che tutto andasse bene, fino a quel momento, quando il peggior incubo della sua vita si era materializzato davanti ai suoi occhi, ed aveva anche il coraggio di dirgli che non era più il mostro di una volta. “Che diritto hai TU di volerti rifare una vita, sentiamo?”
Tom si lasciò vomitare addosso tutto quel veleno, senza reagire. La domanda di Draco rimase tra loro, più pesante di una condanna. Se l'era posta lui stesso, molte volte, ma senza darsi risposte soddisfacenti. Ed ora di fronte al ragazzo nessuna delle risposte parziali che aveva trovato aveva minimamente significato. Si passò una mano sul viso, abbassando lo sguardo di fronte al dolore terribile che emanava da lui. Essere legilimante significava sopratutto essere in grado di percepire le emozioni delle persone che aveva di fronte e solo una mente ben allenata e preparata poteva evitare di venirne travolta. Ma ora non era pronto a difendersi, la propria emozione lo tradiva, lasciandolo scoperto a farsi invadere dalle immagini provenienti da Draco. Se ne lasciò permeare, vedendo e sentendo tutto il dolore che si era portato dentro, tutta la rabbia, tutto l'odio non solo per lui ma anche per se stesso, il senso di colpa per essersi unito ai mangiamorte ed aver fatto cose orribili. Era così simile a quello che aveva sentito Tom stesso in questi anni dal suo ritorno che ne fu annientato. Senza rendersi conto di quello che stava dicendo, senza alzare il viso su Draco, Tom mormorò: “Perdono... io... non immaginavo.”
Aspirò pesantemente l'aria, immediatamente consapevole di esser ridicolo a chiedere perdono per qualcosa che era oltre qualunque possibilità di redenzione. Non meritava nessun perdono, tutta la sua vita era stata solo un infinito fallimento, una lunga sequela di orrori, senza motivo oltre al dolore che aveva provato lui stesso. Aveva cercato di vendicarsi dei torti che pensava di aver subito, questo era il vero motivo di tutta la sua ambizione, di tutto il suo odio. Ed ora, di fronte a Draco, aveva esatte, chiare le proporzioni dell'inutilità dei suoi sforzi. Gli tolse l'incantesimo bloccante ed il ragazzo ricadde a sedere sulla sedia dietro il bancone, i muscolo anchilosati e stanchi. Lo fissò, a lungo, incredulo, poi cominciò a ridere. Rideva a crepapelle, senza riuscire a smettere.
“Perdono? Mi stai chiedendo PERDONO?” Gridò.
Tom annuì, stancamente. Si appoggiò con le mani al bancone, lo sguardo basso, incredulo egli stesso.
“Non è possibile, lo so...” mormorò. “Non si può perdonare quello che ho fatto. Pensavo fosse giusto, pensavo fosse la cosa migliore da fare, e non mi sono reso conto di quanto male facevo. Pensa pure che sia ridicolo, ma non capivo... non sapevo quello che stavo facendo, a te, agli altri mangiamorte, a me stesso, a coloro che mi combattevano. Pensavo solo fosse giusto farlo.”
Draco lo guardò a lungo, senza dir nulla, mentre l'altro parlava. Alla fine solo una parola uscì dalle sue labbra.
“Perché?”
Tom, gli occhi che pungevano stranamente, come se qualcosa combattesse per uscire, si ritrovò a pensare alla propria infanzia. Aprì la bocca un paio di volte, cercando di spiegare, ma qualunque cosa avesse detto sarebbe stata inadeguata a far capire quello che aveva provato. Non poteva, come non poteva far capire a Draco quanto realmente gli dispiacesse aver fatto quello che aveva fatto. Così decise di spiegarglielo nella sola maniera possibile. Alzò lo sguardo su di lui, uno sguardo che pochi avevano potuto sostenere e sopravvivere, ai tempi della guerra magica. Entrò nella mente del ragazzo ed invece di estirparvi dei ricordi, per la prima volta in tutta la sua vita, si aprì totalmente ad un altro essere umano e gli mostrò chi era stato, e perché aveva fatto tutto quello che aveva fatto. Draco vide i lunghi anni all'orfanotrofio, le angherie, la consapevolezza di esser diverso, la totale mancanza di affetti, la solitudine infinita, la paura, l'odio, il bisogno di rivalsa... come Tom aveva visto tutto il dolore di Draco, così ora Draco vide quello di Tom. Chiuse gli occhi, incapace di sostenere altro, e scoppiò in lacrime.
“Non è giusto...” mormorò, tra le lacrime, e lo ripeté mille e mille volte, e Tom non seppe per chi dei due lo stesse dicendo. Abbassò lo sguardo sul bancone e rimase a guardarne le modanature per un tempo infinito, attendendo che l'altro si calmasse.
Draco, il ragazzo viziato e  troppo amato che era stato nell'adolescenza, per la prima volta in vita sua vide Tom Orvoloson Riddle come un orfano rifiutato da tutti, dal mondo babbano e dal mondo magico e comprese. Per quanto la sua vita fosse stata devastata dall'incontro con il Signore Oscuro, Draco aveva potuto almeno contare su una psiche irrobustita dall'amore che aveva ricevuto. Aveva davvero potuto pensare di rifarsi un'esistenza, ne aveva le capacità affettive, psicologiche. Colui che non poteva esser nominato, invece, era stato una parodia di uomo per tutta la sua vita. Non aveva idea di come fosse tornato a vivere, ma vi era veramente del pentimento, un barlume di umanità risvegliato nell'individuo che aveva davanti. E doveva soffrire orribilmente, ora che poteva vedersi come lo vedevano gli altri. Alzò infine lo sguardo su di lui e lo guardò con sincera compassione. Non avrebbe saputo perdonarlo completamente, troppo aveva sofferto per causa sua, ma poteva almeno capirlo.

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