martedì 30 novembre 2010

L'altro libraio - Draco Malfoy ultima parte

Quell'occhiata entrò nella memoria di Tom e vi rimase per tutta la sua esistenza. In ogni momento della sua vita successiva, se chiudeva gli occhi e tornava a quel giorno, rivedeva quegli occhi chiari, bagnati di lacrime, guardarlo compassionevoli, uno sguardo spaventosamente simile a quello che gli aveva rivolto Silente nell'aldilà, quando lo aveva accolto dopo la sconfitta di Hogwarts. Scoprì di non poter sopportare quello sguardo. Poteva sopportare l'odio che vi aveva scorto all'inizio, ma non quello. L'odio lo conosceva, e si rese conto in quel momento di provarlo per se stesso con la stessa intensità. Ma non riusciva a provare compassione per se stesso, non poteva perdonarsi.
Prese la decisione in un istante, istintivamente. Gli fece un incantesimo di memoria, cancellò quell'incontro dalla mente del ragazzo, e mentre l'altro restava momentaneamente imbambolato a guardare il nulla, rimandò i libri sugli scaffali con un gesto, dissolse i sigilli all'entrata della libreria e fuggì, il cuore colmo di una disperazione senza possibilità di redenzione. Tornò in albergo e fece i bagagli, materializzandosi al faro, dall'altra parte dell'oceano, nel cuore della notte.
Andò sulla terrazza più alta del faro, a guardare il mare. Rimase lì al freddo tutta la notte, la mente in tumulto, a osservare il mare avventarsi sugli scogli sotto di lui, le mani che artigliavano la ringhiera. Tutto dentro di lui urlava, un grido disperato di orrore. Respirava a fatica, ansimando, ed ogni respiro lo chiamava verso l'abisso, a por fine a tutta quella sofferenza con un volo verso gli scogli. Eppure restava aggrappato a quella ringhiera, i muscoli tesi allo spasimo, incapace di fare il salto ed incapace di tornare dentro, al caldo ed alla sua vita, che gli pareva ora assurdamente priva di senso. Come poteva aver pensato di rifarsi una vita, come poteva credere di potersi lasciare tutto alle spalle e ricominciare? Lo avevano ucciso, ed era giusto così, non era giusto che un uomo come lui vivesse. Non ne aveva il diritto.
Arrivò l'alba a osservare quel piccolo umano sull'orlo dell'abisso. Il sole indifferente si alzò a sfiorargli il viso e Cletus lo trovò, mentre andava a fare il giro di controllo alla lampada, che ancora era immobile a guardare il mare, stravolto. Il piccolo elfo lo chiamò un paio di volte, senza ottenere risposta, senza capire che gli fosse successo. Poi fece la sola cosa che gli venne in mente di fare, la sola che era capace di fare per gli uomini, da quando era nato.
Gli prese una mano, dolcemente, gli sorrise, e guardandolo gli disse: “Vieni dentro, Tom... prendi freddo. Ti preparo la colazione, ora.”
Il mago sentì il calore della mano sulla propria e guardò il piccolo elfo senza vederlo. Ma gli strinse la mano, e finalmente qualcosa in lui si sciolse. Si lasciò cadere seduto accanto a lui, lo abbracciò e per la prima volta nella sua vita adulta si abbandonò alle lacrime in presenza di un altro essere vivente. Pianse disperatamente, singhiozzando, mentre il piccolo elfo, pur senza capire, lo stringeva e gli dava pacche affettuose sulle spalle. Lo lasciò piangere finché voleva, poi quando sentì il corpo del mago sciogliersi di stanchezza contro il suo, svuotato e sfinito, materializzò entrambi in salotto, vicino al divano. Si sedette accanto al mago, che si abbandonò per terra ad occhi chiusi, e rimase lì a tenergli entrambe le mani tra le proprie, appoggiandogli la testa contro il petto.
Il mago si addormentò, senza accorgersene, per svegliarsi ore dopo, sul divano, coperto da un plaid, spogliato dei vestiti per il viaggio. Il piccolo elfo era accanto a lui, leggeva un fumetto, e sul tavolo di fronte era posato un vassoio autoriscaldante, su cui era posata una caraffa di cioccolata calda ed i biscotti di Cletus.
Fu lo sguardo di Cletus a dargli una spiegazione sul perché non si era gettato nel vuoto, la notte prima. Non poteva farlo. Cletus sapeva perfettamente chi era stato, era cresciuto in una famiglia di maghi oscuri, conosceva perfettamente la sua storia. Eppure gli voleva bene lo stesso, per quello che era adesso. Che avesse senso o meno, l'affetto di quel piccolo elfo lo aveva tenuto ancorato a quella ringhiera, impedendogli di buttarsi di sotto. Il mago, con voce rotta, gli raccontò che cosa gli era successo, e l'elfo ascoltò attento.
“Ma ora non sei più Voldemort. Sei Tom, e basta. Facci pace con Voldemort, e sii Tom. È a Tom che Cletus e tutti i tuoi amici vogliono bene. Voldemort è morto e lo hai ucciso tu” disse, posandogli il lungo indice nodoso sul cuore. “non Harry Potter. Lui ha ucciso il corpo di Voldemort, ma tu ne hai ucciso il resto, quando ti ho conosciuto. Tu sei Tom ed hai una libreria ed un faro di cui occuparti.” annuì, sicuro, e poi lo nutrì come se fosse un bambino, e quando fu soddisfatto di quanto aveva mangiato gli ordinò di dormire ancora. Il mago, incapace di ribattere, si lasciò cullare, e poco prima di sprofondare di nuovo nel sonno, lo sentì mormorare una canzoncina per bambini. Sorrise, giusto un attimo prima di addormentarsi. Qualunque fosse la ragione per cui era tornato in vita, qualsiasi fossero gli orrori del suo passato, per quanto non riuscisse ad affrontarli, Cletus aveva ragione.
Come al solito.

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