lunedì 24 ottobre 2011

Jack O'Lantern fine

“Perché? Perché devo vedere queste persone? Che cosa mi vuoi dire, che sono stato un assassino? Credi che non me lo ricordi?”
NO. VOGLIO CHE TU VEDA ALTRO IN QUESTE MORTI, TOM. MI HANNO MANDATO AD INSEGNARTI ALTRO CHE IL RIMORSO. QUELLO MI PARE CHE TU LO STIA IMPARANDO PER CONTO TUO, NON È VERO?
Lo spirito si girò, voltandogli le spalle. Gli fece un cenno con la mano, per invitarlo a seguirlo, ma Tom non avrebbe potuto disobbedirgli. Si incamminarono lungo la discesa, e parve che la nebbia si dissipasse. Ora di fronte a loro si ergevano le rovine di una grande villa signorile. Non fu difficile per il mago riconoscerla. Era quella da cui era fuggito, quando era tornato in vita. Ben sette spiriti si alzarono da quelle rovine, avvicinandosi alla coppia. Ma una sola osò avvicinarsi, uno spirito femminile.
“Anya.” mormorò Tom.
“Mio Signore...” la voce roca della donna aveva ancora un tono sensuale, come Tom lo ricordava. “Non me lo aspettavo, sapete? Non avrei mai pensato che sareste fuggito, che poteste desiderare una vita diversa... che delusione. Non vi avremmo riportato in vita, se avessimo pensato che potevate tornare diverso... rabbonito! Ma io dico che sotto sotto... siete stato solo un pavido. Siete fuggito da noi per fuggire a voi stesso. Avete paura di ammettere che siete ancora lo stesso. Che non siete cambiato, che vi è piaciuto ucciderci. Abbiamo riportato in vita la parte peggiore.. quella pavida, umana!”
Rise. Cominciò a ridere, irrefrenabilmente, di fronte a Tom che sentiva le lacrime scorrergli sul viso. La sola cosa che lo aveva tenuto aggrappato alla vita, fino ad ora, era che la sua vita avesse un senso diverso. Che quelle morti iniziali potessero non significare un altro fallimento. Sapeva che erano mangiamorte, che se li avesse guidati sarebbe ricominciato tutto. Aveva voluto credere che ucciderli e fuggire fosse stato il prezzo da pagare per un nuovo inizio, ma forse non era vero... forse era solo un'altra sconfitta, la prova che non era cambiato, che non poteva cambiare.
“Basta!” gridò, alzando una mano ed attraversando il volto ectoplasmatico della donna, come se potesse schiaffeggiarla. L'attraversò, e la donna non smise di ridere. Anzi, rise più forte, sparendo tra le rovine, seguita dalle ombre silenziose degli altri sei.
“Basta...” mormorò il mago, il viso solcato dalle lacrime, rivolgendosi verso lo scheletro ammantato, il teschio ghignante che pareva guardarlo ancora più beffardo. “Ti prego, riportami indietro..” tremava, non si era mai sentito così impotente. Si sentiva svuotato, come se la sua magia fosse scomparsa totalmente.
TOM... ABBIAMO ANCORA COSì TANTO DA VEDERE! CORAGGIO.
“Ti prego... non posso vedere altro.” Prese fiato. “E poi ora... non ho più ucciso nessuno. Sono...”
Stava per dire di essere una brava persona, ma non era vero, lo sapeva. La cosa che più lo spaventava era la consapevolezza di conservare ancora dentro di sé un nucleo intatto di odio verso il mondo, di fastidio ed insofferenza verso l'umanità intera che spesso sfociava in malumori devastanti. Non odiava più solo i babbani, il suo fastidio si era traghettato intatto verso tutto il resto dell'umanità, maghi e non maghi. Lo teneva a bada, ma sapeva che era lì, bruciante, tutte le volte che si trovava in mezzo alla folla, ogni volta che toccava con mano i pregiudizi, l'ignoranza, la superficialità, l'indifferenza. Solo che stavolta non la vedeva solo nei babbani ma anche nei maghi. Ed era sempre più restio a mescolarsi tra la gente. Ora che non riusciva a dimenticare Reyes, che non riusciva più ad innamorarsi, si sentiva sempre più isolato dal mondo, lontano, pieno di rabbia e di dolore. Ed aveva paura di sprofondare di nuovo nell'odio, nella rabbia che aveva coltivato prima della sua sconfitta, fino a ricominciare ad uccidere come un tempo.
DOBBIAMO CONTINUARE, TOM. HAI VISTO IL PASSATO, ORA VEDRAI IL TUO PRESENTE.
Attorno a loro si materializzò un cimitero. Lo riconobbe, era celeberrimo. Pere Lachaise, a Parigi. Ed una tomba che aveva visto solo nelle foto dei giornali, il giorno del funerale. La tomba che conteneva la salma della sua ex moglie. La Diva.
La donna emerse dalla fredda pietra, algida e bellissima, ancora più di quanto fosse in vita. Solo l'espressione era dura, feroce, più di quanto l'avesse mai vista. L'ombra alzò il viso ed una mano, indicandolo con l'indice, teatralmente. Nella morte, quanto lo era stata in vita.
“Tu!” Esclamò. “Mi hai ingannata... non mi hai mai amata veramente. Non eri capace di amare! Io, io sì ti ho amato! Quanto la mia vita, quanto la mia stessa anima! Ma tu! Non tu... freddo, incapace di amare, bugiardo!”
Il mago scuoteva la testa. Cercò di rispondere, aprendo e chiudendo la bocca. Dentro di sé sapeva che non era vero, che ne era stato innamorato... forse non l'aveva amata altrettanto, forse lei lo aveva amato di più, ma non era stato totalmente freddo. Ma non riusciva ad esprimerlo, così come non ne era stato capace quando era in vita, quando stavano insieme. Quello, tra le molte cose, aveva ucciso il loro matrimonio. I suoi silenzi, le sue amarezze. Quello aveva ucciso tutti i suoi amori, anche quando aveva imparato ad esprimerli, il buio che si portava dentro annichiliva tutti i suoi rapporti. Non sarebbe mai stato capace di amare davvero, non avrebbe mai potuto redimersi. Tutte quelle morti non potevano che dirgli quello. Era condannato, era un mostro destinato alla solitudine, se solo riusciva a evitare di tornare ad essere un assassino come prima.
Cadde sulle ginocchia, cominciando a piangere calde lacrime, singhiozzando, quasi gridando di dolore. Non vedeva speranze, non vedeva futuro. Tutto quello che aveva fatto era inutile, poteva solo far male a se ed agli altri. Forse la sola cosa sensata sarebbe stata che Jack lo portasse via, subito. Immediatamente.
Forse era per quello che era arrivato? Era quella la ragione per cui non esistevano testimonianze sul funzionamento della maledizione di Halloween? Perché erano tutti morti. Non si sopravviveva alla visita di Jack. Prese fiato, posando le mani sulle cosce. Alzò il viso tormentato verso lo spirito.
“Sei venuto a prendermi? Sei qui a portarmi via, non è vero?”
Per un attimo il pensiero gli parve buffo. Condannato a morte non per i suoi veri peccati, ma per non aver saputo trovare una lavatrice d'antiquariato ad una vecchia rincitrullita. Sulla maschera di Jack la luce cambiò tonalità, per un attimo Tom pensò sorridesse.
NO TOM. NON SONO QUI PER PORTARTI VIA. NON ANCORA, ALMENO.
Il mago abbassò la testa... in parte sollevato, in parte affranto.
“Cosa vuoi ancora da me? Perché mi stai mostrando tutto questo?”
LO CAPIRAI, TOM. DOPO QUESTO.
Lo spazio attorno a loro cambiò ancora. Era sempre un cimitero, ma era diverso, questa volta. Non sapeva dove potevano essere, ma le tombe erano di più attorno a loro. Sembrava un cimitero militare, lapidi ordinate in mezzo all'erba, a perdita d'occhio. Alcune erano semplici croci, altre avevano una foto e qualche scritta. Lo spirito lo precedette, camminando tra le lapidi. Ogni tanto si fermava, indicandogliele. Tom si alzò a fatica e cominciò a leggere le lapidi. I nomi che lesse lo lasciarono agghiacciato.
Michael Jim Raven. Helena Esmen. Raiden des Chateaubriandt. Lily Addams, Derek Gutierrez, Richard Murray, Cletus Crowley Riddle. Tanti altri. Tanti nomi, tante parole in ricordo, tanti quanti erano gli affetti più recenti del mago, da quando era tornato. Tom rabbrividì, leggendo i nomi, senza fiato. Tutte sue vittime? Alla fine avrebbe ucciso anche loro? Avrebbero avuto anche loro qualcosa da rinfacciargli? Lesse le lapidi, su cui c'erano scritte. Tante memorie, tante parole affettuose.
Mentre camminava tra le lapidi, vide una figura camminare tra esse. Una figura familiare, femminile, seguita da un altro paio, poco dietro. Tre figure ammantate, vestite di nero. Si avvicinarono, sentirono le due più arretrate parlare tra loro, mentre la prima camminava decisa, portando fiori tra le braccia.
“Possibile che ogni anno dobbiamo seguirla in questo calvario? Quando la smetterà di rimpiangerli?” disse una familiare voce femminile.
“È il suo modo di restare umana... è la sua maniera di mantenere un ricordo. Bisogna comprenderla.” disse l'altra, maschile.
“Sì, ma è una rottura! Tutta la corte le ride dietro, per questa debolezza!”
“Non le ridono dietro... la rispettano per questo. Anzi, qualcuno l'invidia.”
“Tu, forse? Il grande Jason rimpiange la propria umanità?”
“No, Helena... compiango chi l'ha persa tanto da non comprenderla.”
Il mago li riconobbe. Helena Kemp e Jason Kovacs, i consiglieri della regina dei vampiri. Allora la figura che camminava poteva esser solo lei. La inseguì, fino a raggiungerla. Reyes Bloodsworth camminava spedita tra le tombe, fermandosi a posare i fiori ed a mormorare qualcosa a ciascuno. Si fermò sulla tomba di Fenrir Greyback, mormorando qualcosa mentre accarezzava la foto. Appariva molto più vecchio di quanto il mago lo ricordasse, e solo allora si rese conto che tutte le foto sulle lapidi ritraevano dei vecchi. La seguì, mentre arrivava all'ultima. La vide sedersi, posare un mazzo di rose nere, carezzare una foto che non riconosceva e sorridere.
“Tuo nipote è diventato padre, sai?” diceva. “Ad Hogwarts gli hanno fatto festa, quando lo ha detto. Tutti i suoi allievi gli hanno fatto i complimenti. Una coppia di gemelli. Hanno tutti i tuoi occhi, Tom. Blu come il mare.”
Il mago si sedette, invisibile, accanto alla vampira, commosso nel vederle luccicare delle lacrime negli occhi.
“Ormai non puoi vederli, ma io si. Vedrò i tuoi bis- nipoti crescere e diventare grandi maghi, come te. Onorati, amati. Sono brave persone, sai? Hai lasciato dietro di te tanta luce, anche se credevi di non esserne capace. Spero che tu e tua moglie, ovunque siate, possiate vederli, come li vedo io. Vorrei che foste ancora qui, vorrei che foste ancora qui con me, tutti quanti...”
Il mago guardò le lacrime scorrere sul viso della vampira, straziato. Allungò una mano per asciugargliele, ma il suo tocco era evanescente, e non ottenne alcun effetto. Guardò la foto sulla lapide, riconoscendosi, infine. Era lui, il volto attraversato da rughe. La scritta era semplice, elementare.
Tom Crowley Riddle, amato marito, padre affettuoso, amico sincero.

Tom si svegliò di soprassalto. Sudato, ansimante, si portò una mano al petto. Era stato solo un sogno? Nessuno meglio di lui sapeva che anche i sogni potevano essere reali. Si guardò attorno e tutto era uguale come sempre, nella sua stanza. Nulla era cambiato. Tranne quella zucca intagliata, sul comodino. Non era una zucca vera, era fatta di marzapane. Un biglietto era appoggiato di fronte ad essa, e nella calligrafia un po' infantile di Cletus era scritto:
“Felice Halloween, Tom! La colazione ti aspetta in cucina, io sono a fare la spesa, ma torno prima di pranzo. C.”
Il mago si alzò, prese in mano il dolce e lo osservò, incuriosito. Il volto sogghignante era identico allo spirito del suo sogno. Non avrebbe saputo dire se era stato solo un sogno oppure no, ma non era il tipo da sottovalutare una maledizione fatta da una vecchia fattucchiera. Tornò in negozio, cercando tra le anticaglie una vecchia lavatrice dell'ottocento e poi fece recapitare dal gufo una foto della stessa alla vecchietta, con un biglietto.
“Era forse questa che cercava?” vi aveva scritto.
Non ottenne risposta, ma due giorni dopo la donna tornò in negozio, felice.
“Finalmente avete capito quello che cercavo, eh?” chiese, sorridendo.
“Già. Pare di si, madama.” Rispose Tom.
“Allora è servito incontrare Jack, vero?” chiese ammiccando.
Il mago rimase a bocca aperta.
“Bravo ragazzo... ed ora almeno ha un'idea della direzione in cui sta camminando, vero?”
“S-si.... credo di aver capito.”
“Bene. Il mio ragazzo fa sempre un buon lavoro, quando lo mando in giro.”
“Il mio ragazzo?”
“Il mio cagnolino fedele... il più bravo di tutti.”
La vecchia fece sparire la lavatrice con un colpo di bacchetta. Si inchinò al mago, e sorridendo gli diede una pacca su un braccio.
“Ci rivedremo, Tom... quando sarai pronto per incontrare Ecate, ci rivedremo.”
Sparì in uno sbuffo di fumo, lasciando il mago basito a guardare il vuoto.



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