martedì 1 dicembre 2009

In giro per la città

Girava per casa, senza meta, finché non si decise a fare un giro a Lantern Square, così si chiamava l'omologo locale di Diagon Alley, per distrarsi un po'.
Il quartiere dei maghi di Nantucket era diverso da quello londinese: più ampio, per cominciare, ed aveva un aspetto più selvaggio, più marinaresco. Stranamente i maghi erano meno pittoreschi, in qualche modo assomigliano di più ai babbani del luogo.
Voldemort aveva già notato diverse volte di quanto fossero diversi i maghi americani rispetto a quelli inglesi, sono meno tradizionalisti, e la cosa un tempo lo infastidiva, ma ora non più. Anzi, quasi lo rilassava.
I negozi avevano comunque le stranezze tipiche del mondo magico: il mago si fermò a lungo davanti alla vetrina di un rigattiere che vende roba vecchia i cui incantesimi stavano cominciando a impazzire: teiere autoriscaldanti che rifiutavano l'acqua, tazzine che litigano con i cucchiaini, cravatte che si annodavano da sole ma solo a fiocco, scatole portagioielli che facevano sparire i gioielli per rimpiazzarli con sassi di fiume, portacappelli che trasformavano i cappelli in parrucche... il mago guardò a lungo divertito un baule che si apriva e si richiudeva, mostrando sempre un contenuto diverso, bagagli appartenuti a maghi di diverse epoche e di diversi luoghi del mondo, prima di decidere di comprarlo e vedere che cosa riusciva a tirarne fuori.
Girò ancora per il quartiere, ammirando il negozio di animali dove vendevano puffole colorate, barbagianni, creature magiche di ogni genere, meditando se comprarsi un gufo o un barbagianni, ed optando per quest'ultimo dopo averne visto uno particolarmente maestoso.
La libreria ovviamente attirò più di tutti la sua attenzione. I libri sugli scaffali erano tantissimi, era anche più fornita dell'omologa inglese, fornita di libri che nell'altra non vengono venduti, di magia piuttosto oscura... ma il mago li ignorò. Si fermò d'un tratto davanti ad uno scaffale... pieno di sue biografie.
Restò di ghiaccio. Per quanto fosse ovvio che lo avrebbero fatto, mai avrebbe pensato che qualcuno potesse scrivere di lui, oltre alla storia, per altro molto malamente rimaneggiata, che ne ha scritto Potter con quella scrittrice babbana.
Contò i volumi, ben 14. Li sfogliò, molti dicevano solo sciocchezze che incensavano Potter, e vistose inesattezze su di lui. Li scartò con fastidio, ma un paio...
Li portò alla cassa, ed il commesso li commentò mentre glieli faceva pagare.
"Ottimi libri, sa? Descrivono bene che razza di uomo doveva essere... un pazzo maniaco, ma peccato, così tanto potere in mano ad un tizio così fuori di testa!"
Voldemort guardò il commesso, con la tentazione di fargli rimangiare le parole a suon di crucio... ma qualcosa si mosse in lui e si trovò a sorridere.
"Già... chissà che sarebbe diventato, se non avesse voluto conquistare il mondo, eh?"
"Veramente! dicono fosse potentissimo! ma lei che è inglese, ne sa magari anche più di me... "
"Io? No, ero in giro per il mondo sia la prima volta che salì al potere che quando è tornato... ne so solo per sentito dire."
Sorrise, guardando la propria foto in copertina di uno dei libri. Era sorprendente come non lo riconoscesse più nessuno, da quando il suo volto era tornato integro.
"Meno male, buon per lei! buona lettura allora, signor.. signor?" chiese il commesso.
Lord Voldemort alza lo sguardo. "Crowley! Tom Crowley!" rispose, senza nemmeno pensarci.

Tornato a casa, si mise in veranda a leggere, con un tazzone di te accanto, la vista piena sul mare ed il pacchetto di erba pipa accanto.
Cominciò a leggere il primo, che praticamente conteneva le stesse cose raccontate da Potter, ma con un tono più giornalistico. Niente di speciale. Fu il secondo a lasciarlo di stucco. Scritto evidentemente da un mangiamorte che doveva conoscerlo anche piuttosto bene, da come ne parlava e da cosa raccontava. Particolari inediti, che nessuno a parte pochissime persone potevano sapere. L'autore si firmava Larry Williams, ma non ci sono mai stati mangiamorte con quel nome... era evidentemente uno pseudonimo. Lesse avidamente, fino ad un episodio che lo folgorò. Perché coloro che vi avevano assistito erano tutti morti, alla battaglia finale di Hogwarts o pochissimo dopo. Il solo sopravvissuto era il solito, infingardo, viscido Lucius Malfoy.
Folgorato, Voldemort rilesse dei passaggi, riconoscendo lo stile di scrittura, l'intercalare, la punteggiatura... sì, non poteva che esser lui, l'amico di un tempo. il traditore. Forse il peggiore, anche più di Piton, di cui aveva scoperto il tradimento al suo ritorno in vita. Ma almeno era stato un nemico all'altezza, un traditore di razza. Malfoy si era solo dimostrato un subdolo opportunista, pronto a stare sempre e solo dalla parte dei vincitori...
Voldemort restò di sasso, e poi si senti invadere da una furia omicida. Quel bastardo aveva raccontato la sua infanzia, la sua vita... tutto quello che sapeva di lui. E ne sapeva veramente tanto, persino più di quanto Voldemort stesso sospettasse.
Si alzò furibondo, sbattendo il libro per terra, andò al balcone a guardare il mare, il cielo, cercando di calmarsi.
Non aveva cercato che pochissimi dei vecchi mangiamorte, da quando era tornato.
Dolohov, il vecchio, era morto. Il giovane era un fanatico nostalgico che era meglio evitare, si sarebbe aspettato anche lui che tornasse alla carica per conquistare il potere nel mondo magico, e non voleva più farlo. I Rookwood ancora vivi erano ad Azkaban, come molti altri.
Lucius Malfoy era sempre allo stesso posto, sorprendente. Arrogante, arroccato nella sua villa, ricchissimo, sempre immanicato come un mafioso. Voldemort lo aveva evitato di proposito, era uno dei pochissimi sopravvissuti tra i mangiamorte a poterlo riconoscere guardandolo in viso, visto che si erano conosciuti proprio quando il Signore Oscuro aveva ancora quella faccia. Ne aveva viste delle foto sulla Gazzetta del Profeta, identico, anche se palesemente invecchiato. Aveva deciso di non andarlo a cercare, sotto sotto pensava che avrebbe persino potuto venderlo al ministero, per salvaguardare la propria posizione... visto che la moglie lo aveva tradito per salvare il figlio. Quel ragazzetto, che ora occupava un posto al ministero, sempre obbediente ai voleri del padre, sposato per interesse ad una fanciulla di origini nobilissime, come lui.
Voldemort si era stupito di provare un enorme fastidio a leggere la notizia del matrimonio del ragazzo, della loro perpetua arroganza legata alla stirpe, alla tradizione. Un tempo lontano ci credeva, era la sola cosa che contasse, per lui, ora, proiettata su quel viscido opportunista, lo disgustava. Si rese conto, leggendo articoli su quello che riteneva un amico, che non era mai stato altro che un laido voltagabbana, pronto a stare dalla parte del potere, e non un vero seguace della causa.
Ma quale causa, poi?
Ogni volta che ci ripensava, Voldemort si sentiva svuotato. Niente pareva avere più senso, nulla.
Ma ora... vedersi mettere così in piazza da quel figlio di puttana lo faceva ribollire. Che diritto aveva di farlo?
Si girò nuovamente a guardare il libro, accartocciato per terra. Lo risollevò, lo rilesse, cercando di andare oltre le notizie, interpretando il tono, la volontà con cui era stato scritto. Quello che trovò era anche peggio, c'era un tono quasi di pietà, commiserativo. Come dire, poveretto, era tanto cattivo perché lo avevano maltrattato da piccolo. Era uno sfigato che cercava un posto nel mondo che non aveva, e pensava di poterselo guadagnare con la sopraffazione, mentre la nobiltà è altro.
Scagliò nuovamente il libro lontano, direttamente nel camino acceso, stavolta. Lo guardò bruciare, pensando di andare a far fare la stessa fine anche a quel pezzente arrogante del suo ex amico.
Se lo ricordava, le prime volte che lo aveva conosciuto. Pieno di adulazione, ossequiente... erano diventati amici, quanto poteva esserlo all'epoca Lord Voldemort con un qualunque essere umano, visto che non riusciva più a provare altro che disprezzo per l'umanità, da lungo tempo, da quando si era visto dividere l'esistenza tra il rispetto dei maghi a Hogwarts, per le sue indiscutibili capacità magiche, ed il disprezzo ancora più evidente dei suoi compagni di orfanotrofio, che anno dopo anno lo vedevano tornare sempre più diverso da loro.

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